"Chi parla male pensa male e vive male, bisogna trovare le parole giuste. Le parole sono importanti" diceva Nanni Moretti nel 1989.
Di questo parliamo oggi, della scelta delle parole, e in particolare voglio concentrarmi sulle parole che usiamo per parlare con noi stessi, in quel dialogo interiore che contraddistingue le nostre giornate.
Partiamo dall'inizio: se non l'avete ancora fatto, vi consiglio la visione di questo video tratto da TED.com. Lera Boroditsky, psicologa e accademica bielorussa fra i più importanti contributori nel campo della teoria della relatività linguistica, nonché membro emerito dell'American Psychological Association, ci illustra come il linguaggio dia forma ai nostri pensieri.
Le lingue che utilizziamo guidano i nostri ragionamenti rispetto agli eventi, plasmano la realtà per come la percepiamo. La presenza o l'assenza di termini specifici, modifica profondamente la reazione del nostro cervello di fronte agli eventi, in particolare, l'assenza di un termine preciso rende più difficoltosa la percezione di una data realtà. Attenzione: la difficoltà si applica nel riconoscere oggetti o colori, ad esempio, ma anche emozioni.
Per poter comprendere un'emozione, dobbiamo darle un nome come primo passo per riconoscerla. Questo elemento è utile, ad esempio, nell'educazione dei figli: per aiutarli a gestire le loro prime emozioni, dobbiamo dare loro un nome e una descrizione, così che possano riconoscerla e, alla lunga, non esserne spaventati.
Ma torniamo a noi, vediamo come la scelta delle parole abbiano ripercussioni dirette nella nostra vita quotidiana.
In questo post di settimana scorsa, ho già accennato a come sia importante passare da un dialogo interiore basato sul giudizio a un dialogo basato sulla ricerca di evoluzione. Le domande che ci poniamo quotidianamente sono importanti, così come il tono che utilizziamo.
Spesso siamo i giudici più severi di noi stessi. Il primo passo per il cambiamento è l'accettazione della realtà per quella che è, anche se riguarda il nostro comportamento o il nostro fisico o quella cosa di noi che proprio non ci piace per niente, accidenti. Guardiamoci con occhi gentili, anche se in questo momento siamo diversi da quello che vorremmo. Stiamo facendo il meglio che, in questo momento, possiamo fare con i mezzi che abbiamo. Lavoriamo per cambiare ma accettiamo quello che siamo con gentilezza e accoglienza. Portiamo l'attenzione sulla scelta delle parole nel nostro dialogo interiore.
Amo profondamente la parola ANCORA, dovrebbero fare un monumento alla parola ancóra. Deriva dal latino hanc horam ‘quest'ora’ e, a mio parere, cambia del tutto la prospettiva.
"non so guidare" --> "non so ANCORA guidare"
"non ho raggiunto l'obiettivo" --> "non ho ANCORA raggiunto l'obiettivo"
"non conosco l'inglese" --> "non conosco ANCORA l'inglese"
Cosa avete notato leggendo queste frasi?
Io nelle prime vedo una porta chiusa, un fallimento, un status quo, immobilismo. Nelle seconde vedo una porta che si apre, una possibilità, uno sguardo al futuro, l'essere ai blocchi di partenza. Nelle prime frasi vedo delle etichette. In quell'istante, sei la persona che non sa guidare, quella che non ha raggiunto l'obiettivo o che non conosce l'inglese. Sei inchiodato lì, senza speranza. Sei la mancanza. Nelle seconde, sei una persona che può evolvere e imparare.
La realtà oggettiva è la medesima, ma la sensazione che ne deriva è diametralmente opposta. "Non si può costruire su macerie" dice la mia mentore. Diamoci noi per primi la possibilità di evolvere, fuggendo da giudizi ed etichette che da soli ci attribuiamo. Applichiamo a noi stessi la gentilezza, scegliendo le parole giuste.
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